COLTIVAZIONE DEL TABACCO nel Canale di Brenta


Vedi anche:
STORIA DEL TABACCO
TERMINOLOGIA LOCALE


Il Nostrano del Brenta
"Si coltivi il Nostrano del Brenta" suonavano gli ultimi contratti fra coltivatori della Vallata e l'ormai morente Repubblica di Venezia (Trattato di Campoformido del 18 ottobre 1797)!
Il "Nostrano del Brenta" è una pianta di bassa statura, molto resistente all'azione del vento, di notevole aroma e rusticità: una varietà di tabacco, spuntata dopo un secolo di lavorazione, selezionata da una terra avara che, quando vuole, sa riservare, tra i sudati frutti che produce, qualche dono vitale.
Più tardi, studiosi e tecnici avrebbero distinto tre tipi colturali: il Cuchetto, pregiato per il suo aroma, ma ben presto abbandonato perché troppo delicato; l'Avanetta, dalla foglia piccola, ma di buona qualità, nelle due forme liscia e bollosa; l'Avanone, molto produttivo, ma di pregio inferiore, detto anche Campesano dal paese di Campese, dove veniva coltivato da lungo tempo. Da ricordare anche il Nostrano Gentile, un ibrido, simile all'Avanone, ma con un numero più elevato di foglie.


Segue un breve descrizioni delle lavorazioni necessarie alla coltivazione del tabacco. Naturalmente è una traccia cronologica, che provvederemo, appena possibile, a meglio descrivere e illustrare anche con testimonianze dirette, almeno finchè avremo la possibilità di raccogliere notizie dai nostri "vecchi" .


PREPARAZIONE DEL TERRENO PER LA VANGATURA (trar su i rodài)
Dopo il rigido periodo invernale, nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la "rega" raccogliendola in fasce allineate; si spargeva il "leame" trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi".
Generalmente nel mese di aprile (qualcuno vi provvedeva anche prima dell'inverno), il contadino provvedeva a "trar su i rodai": con la vanga si tracciava un solco (era mezza vangata), riponendo le zolle sempre a monte; si evitava così che la terra, a causa della pendenza dei terrazzamenti, gravasse sulle "masiere" a valle col rischio di frequenti franamenti. L'operazione della vangatura aveva in particolare la funzione di eliminare le erbe infestanti e migliorare la struttura del terreno.
I rodài percorrevano in lungo gli appezzamenti, con l'aspetto di "binari" della larghezza di un metro circa.

VANGATURA E LIVELLATURA DEL TERRENO (vangàr)
La vangatura vera e propria del terrazzamento, prima del trapianto, iniziava a metà maggio circa (dipendeva anche dall'andamento della stagione) e risultava tra l'altro una operazione assai veloce. Aspetto non trascurabile perché in quella fase della coltivazione i lavori sui terrazzamenti erano assai numerosi e gravosi.
Questo era il lavoro più duro per il contadino. Non potendo usare l'aratro si doveva preparare il terreno con la sola forza delle braccia. La vanga girava le zolle di terra e le spianava con maestria, guidata dalla fatica e dal sudore dell'uomo.
Il terreno così livellato era pronto per la piantagione delle piccole piantine di tabacco.

SEMINA (semenar su 'e vanède)
Dopo i rigidi mesi invernali, si iniziava con la semina del tabacco nelle "vanede o vanese", appositamente preparate in un luogo riparato dal vento ed esposto al sole ed inumidite con il "bevarol". Per favorire la nascita e la successiva crescita delle piante, si riparava la zona con "e portee" posate sopra "e forsee".
Nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la "rega", raccogliendola in fasce allineate, e le altre erbe infestanti; si spargeva il "leame" trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi"; si tracciavano "i rodai" usando solo il "baìle" (l'aratro era ancora sconosciuto nella valle) e poi si vangava con cura meticolosa.
All'inizio della primavera, circa alla metà di marzo, il capo zona passava per le contrade della Valle. Consegnava ad ogni titolare di concessione la quantità di semi necessaria per allestire il semenzaio, assegnata in rapporto al numero di piante che il tabacchicoltore avrebbe coltivato: si andava dalle seimila piante, o anche meno, alle 9, 12, 15 e anche 20 mila piante. Il seme del tabacco è piccolissimo e ne bastava qualche grammo. Per determinare con precisione la quantità di semi utilizzava un misurino, grande come un ditale.
Agli inizi della primavera, a metà marzo (dalla festa di San Giuseppe) fino all'ultima settimana di maggio, cominciavano le operazioni di semina delle piantine di tabacco nostrano. Le temperature erano ancora piuttosto fresche, quando addirittura non faceva freddo. Si temevano soprattutto le gelate e le burrasche, per cui sulle aiuole dove erano stati distribuiti i semi del tabacco venivano collocati dei rami sui quali si stendevano dei teli: in genere le stesse coperte (juta) usate per il trasporto del tabacco (ricavate dai sacchi di riso, della farina o del frumento).
Una volta nate le piantine, per farle crescere rigogliose e in fretta, si faceva il "bevaron": le piantine venivano annaffiate con acqua mescolata a solfato ammonico (sali), a letame oppure urina; qualcuno usava la pollina. L'operazione richiedeva una certa avvertenza per non bruciare le piantine.
Gli anziani raccontano che il giovedì della Settimana Santa, al Gloria della messa, si scendeva al fiume per lavarsi il viso in segno di penitenza e purificazione. In ogni famiglia, poi, si provvedeva a riempire qualche botte con l'acqua del fiume che veniva in seguito utilizzata per annaffiare le aiuole del tabacco.
Dagli anni Sessanta, anziché assegnare i semi, cominciarono a portare le piantine e con un camioncino passavano di contrada in contrada per assegnare le piante richieste. A fine stagione, quando si portava il tabacco alla pesa e si otteneva il compenso della stagione di lavoro, veniva trattenuta la somma corrispondente al costo delle piantine (la disponibilità di denaro era ancora un privilegio di pochi).
Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il numero di licenza e dell'appezzamento.

TRAPIANTO DELLE PIANTINE (impiantàr)
Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il numero di licenza e dell'appezzamento.
Nei primi giorni di giugno si iniziava il trapianto: era quasi un rito al quale partecipava tutta la famiglia. Il capofamiglia, preso in spalla il "cristo o misura", tracciava linee ortogonali tra loro. Sui "posti", all'incrocio delle linee, le donne, armate di "caecia" riponevano le piantine (che ormai avevano raggiunto l'altezza di otto-dieci centimetri) e le abbeveravano con un po' d'acqua trasportata dalla Brenta col "bigòl". Risultavano così dei filari regolari della larghezza di circa sessanta centimetri l'uno dall'altro.

RINCALZATURA O SARCHIATURA (dar tera)
Non appena le erbe infestanti cominciavano a crescere, si procedeva alla zappatura per eliminarle e per rincalzare le piantine che ormai avevano raggiunto l'altezza di quindici-venti centimetri (ossia veniva tirata su la terra per tenerle dritte e difenderle dal vento). In quell'occasione si concimavano le piantine con il "pocio", liquame dei gabinetti (latrine). Si controllava la presenza di eventuali parassiti come i "vermi", che rodevano il colletto delle piante o le "sucaroe" (grillotalpa), che intaccavano le radici.
In tal caso si sostituivano immediatamente le piante con altre, le "rimesse", trapiantate appositamente in più rispetto al numero consentito e se non venivano utilizzate dovevano essere sradicate e distrutte, pena multe salate.
Il capozona della "Regia" con uno o più funzionari si presentava per la "conta" delle piante. Nel caso ce ne fossero più del lecito, quelle eccedenti dovevano essere sradicate e distrutte. Talvolta si scavavano delle buche che servivano per trattenere l'acqua, soprattutto nei campi in pendenza, come lo sono in gran parte quasi tutti i terrazzamenti.

CIMATURA E ASPORTAZIONE DEI GERMOGLI (simàr e rabutàr)
Giunte ad una certa altezza (circa quaranta-cinquanta centimetri), le piante venivano cimate, togliendo la parte più alta. Questa operazione permetteva lo sviluppo delle foglie rimaste nello stelo, o gambo. In genere rimanevano tre o quattro corone di foglie, con una decina delle stesse per pianta. Molto presto questa reagiva con l'emissione di germogli, i "rabuti", che dovevano essere subito tolti. Il "rabutar", lavoro piuttosto monotono, era la mansione delle donne e dei bambini.

ASPORTAZIONE DELLE FOGLIE PIU' BASSE O SECCHE (repuimento)
Un altro lavoro prima della seconda verifica da parte degli addetti della "Regia" era il "repuimento", cioè l'asportazione delle foglie basali che venivano eliminate perché di poco valore. Un tempo questo lavoro veniva fatto dalla Finanza per evitare il contrabbando.
Questa operazione richiedeva l'aiuto reciproco di varie famiglie coltivatrici che a turno si aiutavano a ripulire le foglie più basse, piccole o brutte, lasciando sullo stelo le più belle e sane, che venivano contate dall'addetto del Monopolio. Le foglie tolte venivano gettate in una buca appositamente scavata in un angolo dell'appezzamento stesso, tagliuzzate con le vanghe e sepolte per evitare che venissero usate come contrabbando. Tutto ciò avveniva sotto lo sguardo vigile della Finanza.
Ormai era tutto pronto per il secondo controllo delle foglie. Infatti la consegna al magazzino era "per foglia", si doveva cioè consegnare il numero esatto di foglie stimato nell'operazione di conteggio. L'operazione avveniva contando le foglie di ogni singola pianta di un numero di file prese a campione. Veniva quindi fatta una media in base alla quale veniva fissato il numero delle foglie che dovevano essere consegnate al magazzino. Se non veniva fatta la consegna esatta bisognava risarcire. Evidentemente al coltivatore conveniva consegnare al magazzino il numero preciso di foglie di tabacco.

RACCOLTA O VENDEMMIA (vendemàr o tor su tabacco)
Verso la fine di settembre le foglie cominciavano a maturare, specie le più basse. Iniziava così la vendemmia. Si iniziava dal basso, poiché erano le foglie della corona più bassa quelle che giungevano prima a maturazione. Successivamente era la volta del "fior" o "prima", cioè le foglie più alte, più grandi e più pregiate. Quindi si passava alla "seconda". Sul campo poteva rimanere qualche pianta non ancora giunta a completa maturazione, i "gambarei". Il tabacco raccolto veniva predisposto ai bordi del campo in "carghe", con i "bugaroi", pronte per essere portate a casa, per lo più a spalla.

MACERAZIONE (metare in màsara)
A casa, il tabacco veniva messo immediatamente in "màsara", per essere portato ad ingiallimento mediante fermentazione. Le foglie cioè venivano accatastate, in soffitta o nelle stalle, con la punta della foglia rivolta in alto e la costa verso l'esterno. Nell'arco di qualche giorno, constatato il giusto ingiallimento raggiunto, si procedeva alla cernita delle foglie, cioè a "sernir". Si passavano le foglie una per una, mettendo da parte quelle non ancora pronte e distinguendo le altre a seconda della grandezza.
Bisognava controllare sovente la giusta macerazione per evitare che andassero a male o marcissero. Nei locali si respirava un'aria pesante per il forte odore del tabacco.

ESSICCAZIONE (picàr sui smussi)
Quando le foglie erano diventate tutte gialle, si portavano sulle soffitte per appenderle sugli smussi (listelli lunghi tre-quattro metri) in modo che si essiccassero all'aria.
Disteso uno "smusso" per terra, si passava a "picar", stendendovi sopra le punte di due o tre foglie per volta e sovrapponendone gradualmente le punte senza dimenticare di fissare con lo "speo" gli ultimi due gruppi di foglie.
Lo "smusso" così pronto veniva collocato sui "teari", telai per l'essiccazione, nelle soffitte o nelle stanze alte dell'abitazione.
Dopo una quindicina di giorni, per completare l'essiccazione, le foglie venivano girate dall'altra parte, sovrapponendo un altro listello e rovesciando il tutto.
Periodici controlli erano necessari per verificare l'andamento dell'essiccazione, al fine di evitare l'ammuffimento. Dopo un mese circa, ad essiccazione quasi ultimata (tutte le foglie erano completamente marrone e la costa centrale doveva essere ancora un po' morbida), si prendeva per mano smusso per smusso, rovesciando il tabacco in catasta, "in banca", per il raggiungimento del giusto grado di umidità e per poterlo lavorare senza romperlo.

CERNITA FOGLIE E PREPARAZIONE DEI MAZZI (stiràr e far mazzi)
Nel tardo autunno si faceva la cernita. Le foglie, distinte in base alla grandezza e alla qualità, venivano stese con cura in "massi" di 50 foglie, legati con spago, rafia o anche con le scorze del tiglio. Con le foglie colpite dalla tempesta, che aveva reso il tabacco "rosto", si facevano dei mazzi a parte. Queste operazioni venivano eseguite generalmente nella stalla, in più persone, da parte delle donne. Le foglie venivano stese delicatamente con la mano, ma si racconta che talvolta alla stiratura si procedeva addirittura con il ferro da stiro a brace. Si rifacevano le "banche" con i mazzi ben allineati e pronti da consegnare al Monopolio di Stato a Carpané.

ESTIRPAZIONE STELI (cavar i gambùgi)
L'ultima operazione all'aperto consisteva nel togliere gli steli delle piante di tabacco rimasti negli appezzamenti dopo la vendemmia. Sovente era motivo di gara sportiva tra i giovani. Vinceva chi ne toglieva di più in meno tempo. Una volta tolti dal terreno, venivano violentemente sbattuti tra loro per togliere la terra e ammucchiati in piccoli covoni per poi bruciarli a primavera. Intanto l'inverno con la neve si avvicinava... e i lavori erano finiti!